Vido Popović


Vido Popović è nato in Montenegro nel paese di Njeguši il 28 giugno 1909. Dopo aver conseguito la laurea presso la Facoltà di Giurisprudenza a Belgrado nel 1937 ha trovato impiego presso la direzione delle Poste jugoslave. All'indomani dello scoppio della guerra (aprile 1941) è tornato in Montenegro arruolandosi nella formazione partigiana di Njeguši, facente parte del battaglione del monte Lovčen.

Nella sua testimonianza1 Popović racconta che gli italiani lo catturarono a Njeguši insieme ad altre 49 persone l’8 aprile del 1942. “La maggior parte dei catturati erano contadini che gli italiani arrestarono prelevandoli dalle loro abitazioni”, puntualizza Popović. Dopo aver trascorso la notte a Njeguši, il mattino dopo vennero condotti alle prigioni di Cetinje ed il giorno dopo ancora trasferiti nella città marittima di Bar. A Bar vennero poi raggruppati con dei prigionieri provenienti da un altro trasporto di cui facevano parte anche Rudi Debiađi, Zarija Marković, Drago Prelević e Sadik Toskić (costoro li ritroverà a Buchenwald).


Da Bar vennero condotti prima a Scutari, poi a Tirana e infine al campo di concentramento di Kavaja, situato nell'Albania meridionale, dove giunse il 15 aprile 19422. In questo campo di concentramento Popović ebbe modo di incontrare molti montenegrini catturati durante i primi giorni dell'insurrezione contro l'occupazione italiana; tra di loro Dušan e Vasilije Bokan, che furono portati a Cetinje una settimana prima.


Cosí Popović ci descrive il campo di Kavaja: “Secondo i miei calcoli a Kavaja erano presenti tra le 800 e le 900 persone. Il campo era costruito su un terreno paludoso, le baracche erano in pietra, senza tetti. I letti a castello di tre piani erano di legno, non c'erano né materassi né coperte.”

Nell'autunno del 1942 venne inviata da Cetinje, la capitale del Montenegro, una delegazione per convincere i detenuti ad arruolarsi nelle formazioni filofasciste dei cetnici. I detenuti accolsero malamente la delegazione, che fu insultata, ma che riuscì comunque ad arruolare un centinaio di uomini; una quarantina di essi furono liberati immediatamente. Un secondo gruppo, una trentina, fu deportato a Bar. Tutti gli altri furono trattenuti a Kavaja in qualità di ostaggi.


Ricorda ancora Popović: “Se in un primo periodo la situazione nel campo era ancora sostenibile, dopo la dipartita della delegazione la fame, la sporcizia, la mancanza di igiene divennero intollerabili. Il rancio giornaliero venne ridotto a un etto di semenze a persona o due chili di fagioli alternati a 5 chili di patate da dividere in ottanta persone. Si sveniva dalla fame e due persone perirono. Devo aggiungere che gli italiani non infierirono su di noi e nessuno venne maltrattato”.

La deportazione in Italia

Alla fine di novembre 1942 tutti i prigionieri del lager di Kavaja furono trasportati a Durazzo e di lì imbarcati sul piroscafo “Quirinale”. Insieme al gruppo di Kavaja fu imbarcato anche un gruppo di prigionieri proveniente dal campo di Klos in Albania, che, come Kavaja, era adibito a campo per montenegrini3. Il “Quirinale”, scortato da una flotta di navi militari italiane salpò il primo di dicembre 1942. Così ricorda Popović l’arrivo a Bari: “Attraccammo al porto di Bari il giorno successivo. I baresi, aizzati dai fascisti ci accolsero malamente. Sulla via per la stazione ferroviaria ci urlavano contro: “ribelli! ribelli!”, e ci lanciavano contro delle pietre. Da Bari fummo direttamente caricati su un treno e condotti ad Ancona, e da lì con dei camion a Colfiorito, sui monti ad est di Foligno, in un lager in cui erano presenti circa 1.200 montenegrini4”.

Anche a Colfiorito il cibo era totalmente insufficiente, ma coloro che disponevano di qualche soldo potevano comprarne, in particolare frutta: fichi, mele, ma anche marmellata. Era possibile ricevere del cibo da casa, se qualcuno della famiglia avesse avuto la possibilità di spedirne.

“Questa situazione durò fino alla capitolazione italiana, che festeggiammo come se fosse giunta la libertà, anche se liberi non eravamo”. Popović continua: “la capitolazione dell'Italia fu la molla che ci fece decidere di evadere alla fine di settembre 1943. Le sentinelle erano completamente disorientate, il filo spinato intorno al campo danneggiato e i soldati di guardia che avevano intuito i nostri piani rimanevano passivi a riguardo. Tuttavia furono avvertiti i fascisti di Foligno che arrivarono e bloccarono le uscite dal campo, nel quale erano rimaste circa duecento persone, in particolare le baracche degli uomini di Njeguši e di Cetinje. Molti tra coloro che riuscirono ad evadere perirono sul territorio italiano. Alcuni si diressero a nord e furono uccisi dagli ustascia, come mi fu riferito, al confine orientale. Tra i caduti vi furono anche i fratelli Lopičić: lo scrittore Nikola e il professore Branko5”.

La deportazione in Germania

Qualche giorno dopo la fuga il gruppo di cui faceva parte Popovic fu raggiunto dai tedeschi. Catturati, furono trasportati con dei camion fino ad Ancona e da lì su dei convogli ferroviari attraverso il Brennero fino Meppen, in Germania. Popović ricorda: “Era un lager di transito nel quale vi erano parecchi Italiani catturati dopo la capitolazione come prigionieri di guerra. Lungo il tragitto dalla stazione al campo fummo picchiati e maltrattati dai tedeschi. Giunti nel campo di Meppen decidemmo di aprire i pacchi con i viveri che portavamo con noi dall'Italia e iniziammo a mangiare. I tedeschi ci spararono contro. Ci sottrassero il cibo e tutti gli oggetti di valore (tra cui i cappotti invernali ed i mantelli). A me personalmente sottrassero un buon cappotto pesante. Poiché parlavo qualche parola di tedesco mi rivolsi ad un ufficiale. Mi lamentai che ero malato e che mi avevano tolto il cappotto. L' ufficiale intervenne e mi restituirono il cappotto. Sarà che gli si è messa in moto la coscienza.”

A Meppen restarono meno di un mese. Poi furono divisi in vari gruppi6. Insieme ad altri 66 montenegrini deportati dall'Italia, Popović fu mandato in una fabbrica nei dintorni di Hagen. “Il nome del posto non me lo ricordo7. Ci avevano già organizzato un alloggio nei dintorni della fabbrica. Lavoravamo divisi in diverse sezioni della fabbrica. Già la prima sera quando ci riunimmo e ci confrontammo, fu chiaro a tutti che stavamo lavorando in una fabbrica di armi. Decidemmo di non volere più lavorare lì e scrivemmo una lettera di protesta rifacendoci alla convenzione di Ginevra. Nel testo fu dichiarato che non ci sarebbe stato possibile tornare nel nostro paese contro il quale venivano usate quelle armi che noi stessi stavamo producendo. In seguito alla protesta i militari ci cacciarono fuori, ci picchiarono con i calci dei fucili e all'indomani fummo costretti a riprendere il lavoro esattamente lì dove l’avevamo interrotto il giorno prima.”


Alcuni giorni dopo furono trasportati nel campo Rummenohl-Sterbecker8. Nel nuovo campo le condizioni erano ancora peggiori. Afferma Popović: “In tutta la mia prigionia non ho mai vissuto in condizioni peggiori. In questo campo fummo riuniti con altre persone deportate dall'Italia. Il lager di Sterbecker si trovava in una zona montuosa, distante tre o quattro chilometri dalla stazione ferroviaria. Uno o due giorni dopo il nostro arrivo ci disposero in modo tale per cui i proprietari delle fabbriche potessero scegliere chi far lavorare nella propria fabbrica9. La mattina le guardie ci condussero alla stazione e ci fecero scendere alla fermata successiva rispetto alla fabbrica. Al rientro la guardia ci faceva fare di corsa quei tre quattro chilometri che separavano la stazione dal campo. Coloro che fossero rimasti indietro venivano picchiati con i calci dei fucili talmente violenti che rientravano al campo in un lago di sangue. Il vitto e l'alloggio erano inumani e il lavoro in fabbrica (carico e trasporto di ferro) insopportabile. Per rancio ci veniva data una zuppa di patate, rape e riso. Ben presto fu cambiata la guardia e al posto dei soldati ci vennero assegnate le SS. Una volta decidemmo di rifiutare in gruppo il rancio, ma di andare al lavoro comunque per alleggerire la sicura punizione che ci sarebbe aspettata. Resistemmo due giorni, il terzo giorno sopraggiunse la Gestapo, identificò 19 di noi come organizzatori dello sciopero della fame e ci rinchiusero nel carcere di Hagen. Da quel momento le botte, il lavoro fisico e i maltrattamenti divennero il nostro pane quotidiano. In carcere ci picchiarono a sangue. Un giorno mi ordinarono di scaricare un vagone in due ore. Siccome non ci riuscii, la guardia SS mi picchiò come un cane.”

Dal carcere di Hagen furono trasportati a Mülheim, nel carcere punitivo (Straflager) nelle vicinanze dell'aeroporto in costruzione. “Ci attese una SS vestita di bianco come fosse stata un medico. Eravamo completamente nudi e ci picchiò col manganello alla cieca, sulle costole, sui testicoli. Ci condussero nei bagni e ci lavarono spruzzandoci l’acqua a tratti bollente a tratti gelata. Ci venne consegnata la divisa zebrata dei detenuti e fummo sistemati in una baracca. I letti a castello erano costituiti da sacchi di paglia intrecciata senza coperte né lenzuola. Per i bisogni c’era un secchio all'interno della baracca, giacché non ci era permesso di uscire. Il tanfo era insopportabile. Ogni mattina ci svegliavamo con le piaghe sulla pelle a causa dei letti. La costruzione dell'aeroporto era quasi terminata, avevano ultimato sia le piste sia gli hangar e gli aerei avevano già iniziato a decollare e atterrare. Prima dell'apertura ufficiale dell'aeroporto, vi fu però un bombardamento. Furono distrutte le piste, gli hangar e il lager. Durante il bombardamento fummo condotti in un rifugio che si trovava all'interno di un fossato. Morirono solo due francesi, sotterrati da un cumulo di terra. Dei nostri non perì nessuno. Con delle assi di legno non completamente bruciate costruimmo delle baracche che usammo per i successivi sei mesi. Il rancio si ridusse ad acqua di scolo, ma il vero incubo erano i pidocchi. Tre dei nostri compagni Jaroslav Pleciti di Podgorica, Savo Brajović di Danilovgrad e Lanino di Bar, si ammalarono gravemente e furono trasportati via.”

Dal momento che era impossibile continuare la costruzione dell'aeroporto, il lager venne evacuato. Popović insieme ad altri sedici montenegrini (Rudi Debiađi, Drago Prelević, Sadik Toskić, Zarija Marković tutti di Bar, Tomo Bulatović di Kolašin, Dušan Karović di Nikšić, Jovan-Jošo Jevtić di Bijelo Polje, Vasilije e Dušan Bokan e Ilija Stanojević di Cetinje, Anton Mađar, Nikola Popović, Vaso Popović, Krsto Batričević, Vido Popović tutti di Njeguši e Tomaš Mirković) furono trasportati al carcere della cittadina di Herne, per poi essere condotti, due giorni dopo, al lager di Buchenwald10. A Buchenwald giunsero di sera e vennero sistemati in quarantena.

L'arrivo a Buchenwald e l'incontro con gli altri detenuti jugoslavi

Popović ricorda l'incontro con gli altri jugoslavi, alcuni dei quali deportati dall'Italia. “Ci vennero a far visita alcune persone col triangolo rosso e la lettera 'J' stampata sulla casacca, la quale stava ad indicare che erano detenuti Jugoslavi11. So che tra di loro c' erano Slavko Figar e Aziz Koluder. Ci chiesero per quali vie fossimo arrivati nel lager e se tra di noi ci fossero partigiani e comunisti. Ci trattenemmo dal rispondere perché convinti si trattasse di spie e dicemmo solo che eravamo stati catturati dagli italiani e che i tedeschi ci avevano condotto qui. Il giovane Vasilije Bokan fu l'unico ad aprirsi con uno di loro (Koluder) e a raccontargli tutto. Gli venne risposto che era risaputo che su di noi pendevano pesanti condanne in quanto sabotatori e che eravamo destinati al sottocampo di Ohrdruf, ma che vi era la possibilità per qualcuno di noi di evitare questa sorte. Tutti i montenegrini saltarono su Bokan, aggredendolo e urlandogli: “Ci farai tagliare la testa”. Ci calmammo solamente nel momento in cui Zarija Marković incontrò il suo concittadino Đuro Purlija che gli disse che quelle persone erano 'dei nostri' e che si poteva parlare liberamente, giacché anche lui aveva ricevuto il loro aiuto. 


Il giorno dopo le 'spie' tornarono e dissero che io, Nikola Popović, Zarija Marković, e, mi pare, Toma Bulatović, eravamo destinati alla liquidazione, ma di non temere perché tutto era in mano loro. Io dubitavo del fatto che loro avrebbero potuto salvarci, ma poco prima della liberazione scoprii che invece lo fecero davvero. Ci assegnarono numeri di matricola di detenuti morti o liquidati e sui nostri nomi scrissero 'defunto'. Poi seppi che l’ordine di liquidarci era partito da Hagen.


Quando fummo trasferiti dalla quarantena al blocco trasporti, conoscemmo Emil Lichtenberg di Zagabria. Quando informammo Lichtenberg che eravamo stati assegnati a un sottocampo lui ci chiese i nostri numeri di matricola e li passò a un detenuto incaricato di fare l’appello. In questo modo ci fece ritornare al blocco. In un'altra occasione ci lamentammo con Lichtenberg di un anziano tedesco che aveva colpito senza ragione Rudi Debiađi. Lichtenberg inoltrò la nostra lamentela e il tedesco fu mandato in un sottocampo difficile. Debiađi era indebolito, per cui lo impiegarono nel servizio d'igiene del campo. Tuttavia non tutti del nostro gruppo riuscirono a rimanere a Buchenwald. Fino alla fine siamo rimasti, oltre a me Debiađi, i fratelli Bokan, Zarija Marković, Prelević, Toskić, Tomaš Mirković e Nikola Popović. Questi ultimi due morirono durante i giorni della liberazione. Gli altri furono trasferiti, ma sono sopravvissuti tutti.

Il lavoro forzato nel campo di Buchenwald

A Buchenwald i montenegrini vennero assegnati prima al Scheissekommando (il reparto degli spalatori di feci) e successivamente al Totenkommando (reparto dei cadaveri). Quest'ultima mansione consisteva nel tirare il carro coi cadaveri e le persone gravemente malate dalla stazione ferroviaria al crematorio. Solo Vasilie Bokan fu messo a lavorare nel Lagerschutz, il corpo di guardia del lager, una specie di polizia composta dai detenuti. Ricorda Popović: “Rimasi scioccato quando vidi i corpi accatastati sul carro. I detenuti addetti al crematorio tiravano fuori dal mucchio i cadaveri e i gravemente malati e io li dovevo trasportare al ‘bagno’. Un giorno stavo trasportando un ammalato e il detenuto di turno prese il berretto del moribondo e lo gettò via sotto gli occhi di un SS; subito dopo fece come per prendere anche il mio di berretto e io lo fermai dicendo ‘Ich bin Totenkommando!’ Al che il detenuto rimase pietrificato e mi riconsegnò subito il berretto.


Dopo un periodo sono stato mandato a lavorare alla cava del paese di Kleinobringen, dove dovevamo estrarre le pietre che servivano per lastricare le strade. Era un lavoro talmente faticoso che temevo di non farcela. Mi rivolsi al detenuto sloveno Figar: ‘Ehi compagno Slavko (lo chiamavano così), se domani torno alla cava, ci lascerò le penne. Non ce la faccio più, mi sento molto debole’. Mi rispose che per l'indomani non avrebbe potuto fare nulla, ma nel giro di due giorni avrebbe intrapreso qualcosa. Il giorno successivo la squadra di lavoro della cava raddoppiò di numero. Mi si avvicinò un tedesco addetto all'organizzazione della squadra (Vorarbeiter) e mi disse che per i giorni a seguire sarei diventato anch'io Vorarbeiter e mi istruì su come comportarmi. Il nuovo lavoro da Vorarbeiter mi diede la possibilità di rimettermi in sesto. Il mio compito, secondo quanto indicatomi dal tedesco, consisteva nello stare davanti all'ingresso principale e all'entrata e all'uscita della squadra dire: ’Squadra Kleinobringen, quaranta persone’ (Kommando Kleinobringen – vierzig Männer).


Dopo un breve periodo fui rimesso a lavorare nella cava, dove stetti fino alla liberazione. È chiaro che la situazione era rimasta identica a prima. Mi chiedevo: riuscirò a sopravvivere a questa giornata? Quando la sera ci si incontrava tra detenuti ci si complimentava a vicenda del fatto di essere ancora in vita.”

La liberazione di Buchenwald

In previsione della liberazione del campo, l'organizzazione dei detenuti del lager di Buchenwald si prese il compito di mantenere un ordine rigoroso nel campo e di salvare il maggior numero di detenuti.

“L'organizzazione ci aiutò non poco a sopportare le fatiche, ma anche il fatto che eravamo combattenti illegali ci rafforzava nell'animo. Sul finire della guerra furono intraprese alcune iniziative per la nostra difesa. Furono organizzati dei gruppi ‘militari’. Io ero responsabile di uno di questi gruppi in cui c'erano Zarija Marković, Tomaš Mirković e Nikola Popović. Non sapevamo quali fossero gli altri gruppi. L'esercitazione consisteva in una specie di mobilitazione che aveva il fine di esaminare la nostra prontezza. Di notte arrivava qualcuno e sottovoce mi svegliava. A mia volta dovevo svegliare gli altri membri del gruppo uno ad uno. Questa esercitazione fu ripetuta tre volte. Sul finire della guerra il gruppo perse due uomini: Tomaš Mirković che morì e Nikola Popović che fu trasferito nell'ospedale del campo (Revier).


Non possedevamo nessun tipo di arma, almeno fino all'11 aprile, ma Figar ci assicurava che a tempo debito le avremmo ricevute. All'inizio di aprile del 1945 iniziammo a sentire le cannonate in lontananza. Più il fronte si avvicinava più le SS abbandonavano il lager. Ricordo che il giorno della liberazione, l'11 aprile, ci fu un fuggi fuggi generale. Riuscii a vedere come le vetture delle SS partivano in tutta fretta. Intorno alle 14 Zarija Marković ricevette delle armi e una bottiglia riempita di liquido incendiario. In quel momento sulle torrette di controllo non c'erano più sentinelle, ma nessuno aveva il coraggio di scavalcare il recinto in fil di ferro per paura dell'alta tensione. Di lì a poco arrivarono i carri armati americani. I detenuti si arrampicarono sui tetti del lager. Ci fu il caos generale. Ho vissuto la liberazione come in un sogno.


Dopo la liberazione fui inserito nel gruppo che si occupava di mantenere l’ordine, ma nonostante tutti gli sforzi la situazione era tutt'altro che tranquilla. La sera fu organizzata una riunione. Sospettando un attacco tedesco da Weimar, nel lager era attivo un corpo di guardia e i gruppi militari catturarono 200 SS e le rinchiusero. Furono fatti dei processi e ci furono delle condanne a morte. Gli altri furono consegnati alle autorità americane che le rilasciarono.”


Thomas Porena (2018)

Nota 1

Testimonianza di Vido Popović scritta a Belgrado tra il 22 aprile e il 26 maggio del 1987 e il 23 giugno 1988; pubblicata in serbo in Dragoljub M. Kočić, Zapisi iz logorskog pakla, Belgrado, 2008, Zavod za udžbenike, pp. 28-40 e tradotta dall'autore della scheda.


Nota 2

Kavaja è uno dei campi italiani di prigionia in cui furono rinchiuse le popolazioni deportate dalle regioni della Zeta, della Crmnica, della Morača durante l'insurrezione montenegrina. All'inizio del 1942 risultavano essere recluse 1.060 persone. I reclusi viveno in tre baracconi un tempo usati come magazzini: due per gli uomini e uno per le donne. Molte donne in stato interessante sono state costrette a partorire nel campo. A causa delle condizioni molto precarie, ci fu una mortalità elevata. Il rancio consisteva in un piatto di pasta e 500 grammi di pane, ridotti poi a 300. La fame e la fatica la facevano da padrone, poiché i detenuti erano costretti a lavorare. Era largamente diffusa la dissenteria e la malaria. Era possibile ricevere pacchetti, ma assolutamente vietato ricevere visite. Cfr. Rapporto sulla situazione dei nostri connazionali nelle terre annesse dagli albanesi e dei nostri internati in Albania - marzo 1943. Archivio della Jugoslavia, Belgrado, Fondo 103 del governo jugoslavo in esilio a Londra; fascicolo 108 del Ministero delle politiche sociali e della salute pubblica. AJ 103-108-602. Cfr. la lista dei detenuti di Kavaja in data 28/02/1942 1.1.14.1/459397ff/ITS Digital Archive, Bad Arolsen.


Nota 3

Nel rapporto della Croce Rossa del Regno di Iugoslavia del marzo1943, Klos viene descritto come il campo di prigionia principale per i montenegrini civili, non solo detenuti politici. Qui sono stati reclusi i prigionieri fatti durante l'insurrezione montenegrina e in seguito ad essa tutti coloro che sono stati considerati come nemici dal comitato nazionale montenegrino. Si suppone che nel campo sia stato recluso un numero di detenuti superiore alle 1.000 unità. In esso vigeva una disciplina rigorosissima e non era possibile ricevere visite. Le condizioni erano estremamente precarie. I reclusi chiedevano di poter ricevere farina di mais e olio invece del denaro, poiché all'interno del campo non era possibile comprare nulla. Molti hanno sofferto il freddo giacché furono catturati d'estate e erano vestiti molto leggeri. Alcuni sono stati arrestati mentre lavoravano nei campi. Oltre ai contadini e ai lavoratori sono presenti anche numerosi intellettuali. AJ 103-108-602. Cfr. la lista dei detenuti di Klos in data 28/02/1942 1.1.14.1/459342ff/ITS Digital Archive, Bad Arolsen.


Nota 4

Nei questionari del governo militare degli alleati compilati dai detenuti liberati da Buchenwald, Popović dichiara che prima di Colfiorito venne portato a Servigliano. Cfr. 1.1.5.3/6858192/ITS Digital Archive, Bad Arolsen. Questa luogo non viene ricordato nella testimonianza di Popović cui fa riferimento il presente testo.


Nota 5
Si vedano le testimonianze dei montenegrini fuggiti da Colfiorito che parteciparono alla guerra partigiana in Italia raccolte nel libro di Andrea Martocchia, I partigiani jugoslavi nella resistenza italiana. Storie e memorie di una vicenda ignorata, Roma 2011, Odradek.
Nota 6
Altri montenegrini tra i 200 arrivati a Meppen fecero percorsi di detenzione diversi. Ad esempio,Filip Orlandić, che venne assunto dalla ditta Hermann Schnieders cfr. 2.1.2.1/70689155/ITS Digital Archive, Bad Arolsen. Di Orlandić sappiamo che fu portato prima al campo di concentramento di Natzweiler e, nel gennaio 1945, a Buchenwald.
Nota 7
Dai documenti trovati all'International Tracing Service di Bad Arolsen risulta che un gruppo di montenegrini lavorà presso il laminatoio della ditta C. Kuhbier & Sohn Walzwerk a Dahlerbrück in Vestfalia. Su questo si veda la lista redatta dalle autorità di occupazione dopo la Seconda Guerra Mondiale sulla base degli elenchi dell'ufficio di Lüdenscheid nel distretto di Altena che riporta i nomi dei lavoratori civili presso la ditta C. Kuhbier & Sohn Walzwerk Dahlerbrück Westf. assunti tra novembre e dicembre 1943. La lista è composta da 115 nomi di montenegrini, alcuni dei quali compaiono nella testimonianza qui presentata. Nella lista viene annotato che i montenegrini furono segnalati anche come Internati Militari Italiani cfr. 2.1.2.1/70776062ff/ITS Digital archive, Bad Arolsen.
Nota 8
Sterbecker era l'Arbeitskommando per prigionieri di guerra n.2001. Kriegsgefangenen-Arbeitskommando 2001.
Nota 9
Vido Popović lavorava come ausiliario presso la ditta Falkenroth/Söhne, Schalksmühle. Risulta residente allo Stalag di Sterbecker fino al 05.04.45 registrato come „ehem. Jugoslave“ (ex-jugoslavo). Cfr. il documento pubblicato on-line dagli archivi della città di Lüdenscheid: http://www.luedenscheid.de/luedenscheid_erleben/bildung_und_kultur/stadtarchiv/Zwangsarbeiter_Datenbank_frei_benutzbar_2016.pdf (ultimo accesso 20.01.2018)
Nota 10

International Tracing Service, Bad Arolsen, 1.1.5.3/6858192/ITS.


Nota 11
Sull’organizzazione clandestina comunista si veda anche la scheda La deportazione dal carcere di Perugia a Dachau e Buchenwald
AEL Arbeitserziehungslager
I campi di rieducazione al lavoro AEL furono creati a partire dal 1940 dalla Gestapo con l'obiettivo di "rieducare" le persone accusate di atti di sabotaggio industriale o ritenute per qualche motivo "riluttanti" al lavoro. Di fatto, questi campi furono anche uno strumento di sfruttamento del lavoro forzato. Si calcola che in Germania e nei territori occupati abbiano funzionato circa 200 Arbeitserziehungslager e che vi siano state imprigionate circa 500 mila persone.
Bau-und Arbeits Battallion B.A.B.

Durante la Seconda guerra mondiale i tedeschi formarono delle unità di prigionieri di guerra denominate Bau-und Arbeits Battalion (abbreviato in B.A.B). I B.A.B erano composti in media da circa 600 prigionieri destinati al lavoro. La particolarità di queste unità stava nella loro mobilità: a differenza dei prigionieri degli Stalag, non erano destinate a un luogo specifico ma dislocabili sul territorio in base alle necessità del momento.

I.G. Farben
La I.G. Farben venne fondata nel 1925 dall'unione di diverse industrie tedesche. Durante la Seconda guerra mondiale fu la principale industria chimica della Germania nazista.
La I.G. Farben è stata tra le industrie che più hanno fatto ricorso al lavoro forzato, in particolare nella costruzione degli impianti di Auschwitz.
I dirigenti della I.G. Farben furono tra gli imputati del processo di Norimberga del 1947/48.
Alla fine della guerra, gli alleati decisero di smembrare l'industria ricostituendo le aziende che l'avevano inizialmente fondata.
Kriegsgefangenen Arbeitskommando
Gli Arbeitskommando erano campi di lavoro per prigionieri di guerra catturati dai tedeschi. Composti di solito da qualche centinaio di prigionieri, erano dislocati nei pressi del luogo di lavoro (fabbriche, miniere, agricoltura, ecc.). L'amministrazione era demandata a uno Stalag (campo per prigionieri di guerra) principale. Da uno Stalag potevano dipendere anche diverse centinaia di Arbeitskommando. Gli Arbeitskommando dei prigionieri di guerra alleati venivano regolarmente visitati dai rappresentanti della Croce Rossa.
Ispettorato Militare del Lavoro
L’Ispettorato Militare del Lavoro è stata una organizzazione nata nell’ottobre del 1943 allo scopo di inquadrare lavoratori da impiegare per costruire strutture per la difesa del territorio della RSI e per riparare i danni dei bombardamenti aerei. Conosciuta anche come “Organizzazione Paladino”, dal nome del suo ideatore e comandante, giunse a inquadrare alcune decine di migliaia di uomini, operando in stretto contatto, e alle volte alle dirette dipendenze, dei tedeschi.
Organizzazione Todt

L’organizzazione Todt nacque in Germania alla fine degli Trenta, allo scopo di organizzare la forza lavoro per la costruzione di installazioni militari. Ideata e diretta da Fritz Todt fino alla sua morte (1942), durante la guerra venne utilizzata per lo sfruttamento dei lavoratori coatti nei paesi occupati dalla Germania. In Italia ebbe un ruolo fondamentale nella costruzione delle linee di difesa lungo l’Appennino per la Wehrmacht, inquadrando decine di migliaia di uomini.

Paladino Francesco
Nato a Scilla (Reggio Calabria) nel 1890, si era arruolato volontario nel corpo del Genio telegrafisti nel 1907. Nel 1908 raggiunse il grado di sergente, con il quale partecipò alla Guerra di Libia. Nel 1914 fu promosso sottotenente e durante la Prima Guerra Mondiale fu promosso capitano. Rimasto sotto le armi, nel 1932 raggiunse il grado di tenente colonnello. Nel 1936 partecipò alla Guerra d’Etiopia durante la quale fu promosso a colonnello.
Nella Seconda Guerra Mondiale partecipò alla campagna di Grecia, per poi tornare in Italia, assegnato al corpo d’Armata di Bolzano. Nel 1942 fu promosso a generale di brigata. Dopo l’armistizio aderì alla Repubblica Sociale Italiana per la quale creò l’Ispettorato Militare del Lavoro.
Posto in congedo assoluto nel 1945, nel 1970 gli fu conferito il grado onorifico di generale di divisione.
Morì nel 1974.
Sauckel Fritz

Fritz Sauckel, nato nel 1894,  era un Gauleiter (capo locale) del partito nazista. Nel 1942 fu nominato plenipotenziario per la distribuzione del lavoro in tutti i territori occupati dalla Germania. In pratica, era il responsabile del reclutamento forzato della manodopera per il lavoro coatto. In Italia la sua organizzazione cercò, con scarsi risultati, di rastrellare centinaia di migliaia di uomini da portare nel Reich. Fu processato a Noriberga e condannato a morte, condanna eseguita nel 1946.

Speer Albert
Albert Speer, nato nel 1905, era un architetto con ottimi rapporti personali con Adolf Hitler. Pur non essendo un fervente nazista, era stato l’artefice delle scenografie delle parate del Partito, assicurandosi la stima e la fiducia del dittatore. Nel 1942, dopo la morte di Fritz Todt, fu nominato ministro per la produzione bellica, a cui era sottoposta la Organizzazione Todt. Fu processato a Norimberga e condannato a venti anni di carcere. E’ morto a Londra nel 1981.
Stalag
Campo tedesco per prigionieri di guerra. Le condizioni di vita negli stalag erano molto diverse a seconda della nazionalità dei prigionieri (alleati, sovietici, internati militari italiani, ecc.).
Todt Fritz

Fritz Todt era un ingegnere tedesco, responsabile, negli anni Trenta, della costruzione del sistema autostradale voluto da Hitler. Alla fine degli anni Trenta creò l’Organizzazione Todt, che aveva lo scopo di fornire la forza lavoro per la costruzione delle linee difensive lungo il confine con la Francia. Durante la guerra la sua organizzazione gestì lo sfruttamento del lavoro coatto nei territori occupati. Morì a causa di incidente aereo nel 1942.


Gemeinschaftslager
I Gemeinschaftslager, così come i Wohnlager, erano lager non sorvegliati per lavoratori stranieri, mentre gli Arbeitslager erano sorvegliati. In genere solo per questi ultimi si utilizza il concetto di lavoro forzato, ma attualmente gli storici tendono a rivedere decisamente il concetto di lavoro forzato estendendolo a rapporti di lavoro che solo apparentemente sono liberi ma che di fatto erano forzati. In particolare la discussione attuale tende ad orientarsi verso un concetto di lavoro forzato che comprende questi tre elementi distintivi:
- dal punto di vista giuridico l'impossibilità per il lavoratore di sciogliere il rapporto di lavoro,
- dal punto di vista sociale le limitate possibilità di influenzare significativamente le condizioni del proprio impiego,
- una tasso di mortalità elevato che indica un carico di lavoro superiore alla media e una disponibilità di mezzi di sostentamento inferiore al bisogno effettivo.

si veda [https://www.bundesarchiv.de/zwangsarbeit/geschichte/auslaendisch/begriffe/index.html]
AEL Arbeitserziehungslager
I campi di rieducazione al lavoro AEL furono creati a partire dal 1940 dalla Gestapo con l'obiettivo di "rieducare" le persone accusate di atti di sabotaggio industriale o ritenute per qualche motivo "riluttanti" al lavoro. Di fatto, questi campi furono anche uno strumento di sfruttamento del lavoro forzato. Si calcola che in Germania e nei territori occupati abbiano funzionato circa 200 Arbeitserziehungslager e che vi siano state imprigionate circa 500 mila persone.
Bau-und Arbeits Battallion B.A.B.

Durante la Seconda guerra mondiale i tedeschi formarono delle unità di prigionieri di guerra denominate Bau-und Arbeits Battalion (abbreviato in B.A.B). I B.A.B erano composti in media da circa 600 prigionieri destinati al lavoro. La particolarità di queste unità stava nella loro mobilità: a differenza dei prigionieri degli Stalag, non erano destinate a un luogo specifico ma dislocabili sul territorio in base alle necessità del momento.

I.G. Farben
La I.G. Farben venne fondata nel 1925 dall'unione di diverse industrie tedesche. Durante la Seconda guerra mondiale fu la principale industria chimica della Germania nazista.
La I.G. Farben è stata tra le industrie che più hanno fatto ricorso al lavoro forzato, in particolare nella costruzione degli impianti di Auschwitz.
I dirigenti della I.G. Farben furono tra gli imputati del processo di Norimberga del 1947/48.
Alla fine della guerra, gli alleati decisero di smembrare l'industria ricostituendo le aziende che l'avevano inizialmente fondata.
Kriegsgefangenen Arbeitskommando
Gli Arbeitskommando erano campi di lavoro per prigionieri di guerra catturati dai tedeschi. Composti di solito da qualche centinaio di prigionieri, erano dislocati nei pressi del luogo di lavoro (fabbriche, miniere, agricoltura, ecc.). L'amministrazione era demandata a uno Stalag (campo per prigionieri di guerra) principale. Da uno Stalag potevano dipendere anche diverse centinaia di Arbeitskommando. Gli Arbeitskommando dei prigionieri di guerra alleati venivano regolarmente visitati dai rappresentanti della Croce Rossa.
Ispettorato Militare del Lavoro
L’Ispettorato Militare del Lavoro è stata una organizzazione nata nell’ottobre del 1943 allo scopo di inquadrare lavoratori da impiegare per costruire strutture per la difesa del territorio della RSI e per riparare i danni dei bombardamenti aerei. Conosciuta anche come “Organizzazione Paladino”, dal nome del suo ideatore e comandante, giunse a inquadrare alcune decine di migliaia di uomini, operando in stretto contatto, e alle volte alle dirette dipendenze, dei tedeschi.
Organizzazione Todt

L’organizzazione Todt nacque in Germania alla fine degli Trenta, allo scopo di organizzare la forza lavoro per la costruzione di installazioni militari. Ideata e diretta da Fritz Todt fino alla sua morte (1942), durante la guerra venne utilizzata per lo sfruttamento dei lavoratori coatti nei paesi occupati dalla Germania. In Italia ebbe un ruolo fondamentale nella costruzione delle linee di difesa lungo l’Appennino per la Wehrmacht, inquadrando decine di migliaia di uomini.

Paladino Francesco
Nato a Scilla (Reggio Calabria) nel 1890, si era arruolato volontario nel corpo del Genio telegrafisti nel 1907. Nel 1908 raggiunse il grado di sergente, con il quale partecipò alla Guerra di Libia. Nel 1914 fu promosso sottotenente e durante la Prima Guerra Mondiale fu promosso capitano. Rimasto sotto le armi, nel 1932 raggiunse il grado di tenente colonnello. Nel 1936 partecipò alla Guerra d’Etiopia durante la quale fu promosso a colonnello.
Nella Seconda Guerra Mondiale partecipò alla campagna di Grecia, per poi tornare in Italia, assegnato al corpo d’Armata di Bolzano. Nel 1942 fu promosso a generale di brigata. Dopo l’armistizio aderì alla Repubblica Sociale Italiana per la quale creò l’Ispettorato Militare del Lavoro.
Posto in congedo assoluto nel 1945, nel 1970 gli fu conferito il grado onorifico di generale di divisione.
Morì nel 1974.
Sauckel Fritz

Fritz Sauckel, nato nel 1894,  era un Gauleiter (capo locale) del partito nazista. Nel 1942 fu nominato plenipotenziario per la distribuzione del lavoro in tutti i territori occupati dalla Germania. In pratica, era il responsabile del reclutamento forzato della manodopera per il lavoro coatto. In Italia la sua organizzazione cercò, con scarsi risultati, di rastrellare centinaia di migliaia di uomini da portare nel Reich. Fu processato a Noriberga e condannato a morte, condanna eseguita nel 1946.

Speer Albert
Albert Speer, nato nel 1905, era un architetto con ottimi rapporti personali con Adolf Hitler. Pur non essendo un fervente nazista, era stato l’artefice delle scenografie delle parate del Partito, assicurandosi la stima e la fiducia del dittatore. Nel 1942, dopo la morte di Fritz Todt, fu nominato ministro per la produzione bellica, a cui era sottoposta la Organizzazione Todt. Fu processato a Norimberga e condannato a venti anni di carcere. E’ morto a Londra nel 1981.
Stalag
Campo tedesco per prigionieri di guerra. Le condizioni di vita negli stalag erano molto diverse a seconda della nazionalità dei prigionieri (alleati, sovietici, internati militari italiani, ecc.).
Todt Fritz

Fritz Todt era un ingegnere tedesco, responsabile, negli anni Trenta, della costruzione del sistema autostradale voluto da Hitler. Alla fine degli anni Trenta creò l’Organizzazione Todt, che aveva lo scopo di fornire la forza lavoro per la costruzione delle linee difensive lungo il confine con la Francia. Durante la guerra la sua organizzazione gestì lo sfruttamento del lavoro coatto nei territori occupati. Morì a causa di incidente aereo nel 1942.


Gemeinschaftslager
I Gemeinschaftslager, così come i Wohnlager, erano lager non sorvegliati per lavoratori stranieri, mentre gli Arbeitslager erano sorvegliati. In genere solo per questi ultimi si utilizza il concetto di lavoro forzato, ma attualmente gli storici tendono a rivedere decisamente il concetto di lavoro forzato estendendolo a rapporti di lavoro che solo apparentemente sono liberi ma che di fatto erano forzati. In particolare la discussione attuale tende ad orientarsi verso un concetto di lavoro forzato che comprende questi tre elementi distintivi:
- dal punto di vista giuridico l'impossibilità per il lavoratore di sciogliere il rapporto di lavoro,
- dal punto di vista sociale le limitate possibilità di influenzare significativamente le condizioni del proprio impiego,
- una tasso di mortalità elevato che indica un carico di lavoro superiore alla media e una disponibilità di mezzi di sostentamento inferiore al bisogno effettivo.

si veda [https://www.bundesarchiv.de/zwangsarbeit/geschichte/auslaendisch/begriffe/index.html]
AEL Arbeitserziehungslager
I campi di rieducazione al lavoro AEL furono creati a partire dal 1940 dalla Gestapo con l'obiettivo di "rieducare" le persone accusate di atti di sabotaggio industriale o ritenute per qualche motivo "riluttanti" al lavoro. Di fatto, questi campi furono anche uno strumento di sfruttamento del lavoro forzato. Si calcola che in Germania e nei territori occupati abbiano funzionato circa 200 Arbeitserziehungslager e che vi siano state imprigionate circa 500 mila persone.
Bau-und Arbeits Battallion B.A.B.

Durante la Seconda guerra mondiale i tedeschi formarono delle unità di prigionieri di guerra denominate Bau-und Arbeits Battalion (abbreviato in B.A.B). I B.A.B erano composti in media da circa 600 prigionieri destinati al lavoro. La particolarità di queste unità stava nella loro mobilità: a differenza dei prigionieri degli Stalag, non erano destinate a un luogo specifico ma dislocabili sul territorio in base alle necessità del momento.

I.G. Farben
La I.G. Farben venne fondata nel 1925 dall'unione di diverse industrie tedesche. Durante la Seconda guerra mondiale fu la principale industria chimica della Germania nazista.
La I.G. Farben è stata tra le industrie che più hanno fatto ricorso al lavoro forzato, in particolare nella costruzione degli impianti di Auschwitz.
I dirigenti della I.G. Farben furono tra gli imputati del processo di Norimberga del 1947/48.
Alla fine della guerra, gli alleati decisero di smembrare l'industria ricostituendo le aziende che l'avevano inizialmente fondata.
Kriegsgefangenen Arbeitskommando
Gli Arbeitskommando erano campi di lavoro per prigionieri di guerra catturati dai tedeschi. Composti di solito da qualche centinaio di prigionieri, erano dislocati nei pressi del luogo di lavoro (fabbriche, miniere, agricoltura, ecc.). L'amministrazione era demandata a uno Stalag (campo per prigionieri di guerra) principale. Da uno Stalag potevano dipendere anche diverse centinaia di Arbeitskommando. Gli Arbeitskommando dei prigionieri di guerra alleati venivano regolarmente visitati dai rappresentanti della Croce Rossa.
Ispettorato Militare del Lavoro
L’Ispettorato Militare del Lavoro è stata una organizzazione nata nell’ottobre del 1943 allo scopo di inquadrare lavoratori da impiegare per costruire strutture per la difesa del territorio della RSI e per riparare i danni dei bombardamenti aerei. Conosciuta anche come “Organizzazione Paladino”, dal nome del suo ideatore e comandante, giunse a inquadrare alcune decine di migliaia di uomini, operando in stretto contatto, e alle volte alle dirette dipendenze, dei tedeschi.
Organizzazione Todt

L’organizzazione Todt nacque in Germania alla fine degli Trenta, allo scopo di organizzare la forza lavoro per la costruzione di installazioni militari. Ideata e diretta da Fritz Todt fino alla sua morte (1942), durante la guerra venne utilizzata per lo sfruttamento dei lavoratori coatti nei paesi occupati dalla Germania. In Italia ebbe un ruolo fondamentale nella costruzione delle linee di difesa lungo l’Appennino per la Wehrmacht, inquadrando decine di migliaia di uomini.

Paladino Francesco
Nato a Scilla (Reggio Calabria) nel 1890, si era arruolato volontario nel corpo del Genio telegrafisti nel 1907. Nel 1908 raggiunse il grado di sergente, con il quale partecipò alla Guerra di Libia. Nel 1914 fu promosso sottotenente e durante la Prima Guerra Mondiale fu promosso capitano. Rimasto sotto le armi, nel 1932 raggiunse il grado di tenente colonnello. Nel 1936 partecipò alla Guerra d’Etiopia durante la quale fu promosso a colonnello.
Nella Seconda Guerra Mondiale partecipò alla campagna di Grecia, per poi tornare in Italia, assegnato al corpo d’Armata di Bolzano. Nel 1942 fu promosso a generale di brigata. Dopo l’armistizio aderì alla Repubblica Sociale Italiana per la quale creò l’Ispettorato Militare del Lavoro.
Posto in congedo assoluto nel 1945, nel 1970 gli fu conferito il grado onorifico di generale di divisione.
Morì nel 1974.
Sauckel Fritz

Fritz Sauckel, nato nel 1894,  era un Gauleiter (capo locale) del partito nazista. Nel 1942 fu nominato plenipotenziario per la distribuzione del lavoro in tutti i territori occupati dalla Germania. In pratica, era il responsabile del reclutamento forzato della manodopera per il lavoro coatto. In Italia la sua organizzazione cercò, con scarsi risultati, di rastrellare centinaia di migliaia di uomini da portare nel Reich. Fu processato a Noriberga e condannato a morte, condanna eseguita nel 1946.

Speer Albert
Albert Speer, nato nel 1905, era un architetto con ottimi rapporti personali con Adolf Hitler. Pur non essendo un fervente nazista, era stato l’artefice delle scenografie delle parate del Partito, assicurandosi la stima e la fiducia del dittatore. Nel 1942, dopo la morte di Fritz Todt, fu nominato ministro per la produzione bellica, a cui era sottoposta la Organizzazione Todt. Fu processato a Norimberga e condannato a venti anni di carcere. E’ morto a Londra nel 1981.
Todt Fritz

Fritz Todt era un ingegnere tedesco, responsabile, negli anni Trenta, della costruzione del sistema autostradale voluto da Hitler. Alla fine degli anni Trenta creò l’Organizzazione Todt, che aveva lo scopo di fornire la forza lavoro per la costruzione delle linee difensive lungo il confine con la Francia. Durante la guerra la sua organizzazione gestì lo sfruttamento del lavoro coatto nei territori occupati. Morì a causa di incidente aereo nel 1942.


AEL Arbeitserziehungslager
I campi di rieducazione al lavoro AEL furono creati a partire dal 1940 dalla Gestapo con l'obiettivo di "rieducare" le persone accusate di atti di sabotaggio industriale o ritenute per qualche motivo "riluttanti" al lavoro. Di fatto, questi campi furono anche uno strumento di sfruttamento del lavoro forzato. Si calcola che in Germania e nei territori occupati abbiano funzionato circa 200 Arbeitserziehungslager e che vi siano state imprigionate circa 500 mila persone.
Bau-und Arbeits Battallion B.A.B.

Durante la Seconda guerra mondiale i tedeschi formarono delle unità di prigionieri di guerra denominate Bau-und Arbeits Battalion (abbreviato in B.A.B). I B.A.B erano composti in media da circa 600 prigionieri destinati al lavoro. La particolarità di queste unità stava nella loro mobilità: a differenza dei prigionieri degli Stalag, non erano destinate a un luogo specifico ma dislocabili sul territorio in base alle necessità del momento.

I.G. Farben
La I.G. Farben venne fondata nel 1925 dall'unione di diverse industrie tedesche. Durante la Seconda guerra mondiale fu la principale industria chimica della Germania nazista.
La I.G. Farben è stata tra le industrie che più hanno fatto ricorso al lavoro forzato, in particolare nella costruzione degli impianti di Auschwitz.
I dirigenti della I.G. Farben furono tra gli imputati del processo di Norimberga del 1947/48.
Alla fine della guerra, gli alleati decisero di smembrare l'industria ricostituendo le aziende che l'avevano inizialmente fondata.
Kriegsgefangenen Arbeitskommando
Gli Arbeitskommando erano campi di lavoro per prigionieri di guerra catturati dai tedeschi. Composti di solito da qualche centinaio di prigionieri, erano dislocati nei pressi del luogo di lavoro (fabbriche, miniere, agricoltura, ecc.). L'amministrazione era demandata a uno Stalag (campo per prigionieri di guerra) principale. Da uno Stalag potevano dipendere anche diverse centinaia di Arbeitskommando. Gli Arbeitskommando dei prigionieri di guerra alleati venivano regolarmente visitati dai rappresentanti della Croce Rossa.
Ispettorato Militare del Lavoro
L’Ispettorato Militare del Lavoro è stata una organizzazione nata nell’ottobre del 1943 allo scopo di inquadrare lavoratori da impiegare per costruire strutture per la difesa del territorio della RSI e per riparare i danni dei bombardamenti aerei. Conosciuta anche come “Organizzazione Paladino”, dal nome del suo ideatore e comandante, giunse a inquadrare alcune decine di migliaia di uomini, operando in stretto contatto, e alle volte alle dirette dipendenze, dei tedeschi.
Organizzazione Todt

L’organizzazione Todt nacque in Germania alla fine degli Trenta, allo scopo di organizzare la forza lavoro per la costruzione di installazioni militari. Ideata e diretta da Fritz Todt fino alla sua morte (1942), durante la guerra venne utilizzata per lo sfruttamento dei lavoratori coatti nei paesi occupati dalla Germania. In Italia ebbe un ruolo fondamentale nella costruzione delle linee di difesa lungo l’Appennino per la Wehrmacht, inquadrando decine di migliaia di uomini.

Paladino Francesco
Nato a Scilla (Reggio Calabria) nel 1890, si era arruolato volontario nel corpo del Genio telegrafisti nel 1907. Nel 1908 raggiunse il grado di sergente, con il quale partecipò alla Guerra di Libia. Nel 1914 fu promosso sottotenente e durante la Prima Guerra Mondiale fu promosso capitano. Rimasto sotto le armi, nel 1932 raggiunse il grado di tenente colonnello. Nel 1936 partecipò alla Guerra d’Etiopia durante la quale fu promosso a colonnello.
Nella Seconda Guerra Mondiale partecipò alla campagna di Grecia, per poi tornare in Italia, assegnato al corpo d’Armata di Bolzano. Nel 1942 fu promosso a generale di brigata. Dopo l’armistizio aderì alla Repubblica Sociale Italiana per la quale creò l’Ispettorato Militare del Lavoro.
Posto in congedo assoluto nel 1945, nel 1970 gli fu conferito il grado onorifico di generale di divisione.
Morì nel 1974.
Sauckel Fritz

Fritz Sauckel, nato nel 1894,  era un Gauleiter (capo locale) del partito nazista. Nel 1942 fu nominato plenipotenziario per la distribuzione del lavoro in tutti i territori occupati dalla Germania. In pratica, era il responsabile del reclutamento forzato della manodopera per il lavoro coatto. In Italia la sua organizzazione cercò, con scarsi risultati, di rastrellare centinaia di migliaia di uomini da portare nel Reich. Fu processato a Noriberga e condannato a morte, condanna eseguita nel 1946.

Speer Albert
Albert Speer, nato nel 1905, era un architetto con ottimi rapporti personali con Adolf Hitler. Pur non essendo un fervente nazista, era stato l’artefice delle scenografie delle parate del Partito, assicurandosi la stima e la fiducia del dittatore. Nel 1942, dopo la morte di Fritz Todt, fu nominato ministro per la produzione bellica, a cui era sottoposta la Organizzazione Todt. Fu processato a Norimberga e condannato a venti anni di carcere. E’ morto a Londra nel 1981.
Todt Fritz

Fritz Todt era un ingegnere tedesco, responsabile, negli anni Trenta, della costruzione del sistema autostradale voluto da Hitler. Alla fine degli anni Trenta creò l’Organizzazione Todt, che aveva lo scopo di fornire la forza lavoro per la costruzione delle linee difensive lungo il confine con la Francia. Durante la guerra la sua organizzazione gestì lo sfruttamento del lavoro coatto nei territori occupati. Morì a causa di incidente aereo nel 1942.